martedì 23 luglio 2013

" gelato al gelsomino di Coco Chanel al sentore di μαστίχα di Χιοσ "

Quando si pensa a un titolo per un post, ci si indirizza sempre su due cose. La prima, è che deve stimolare l'attenzione di chi lo legge. La seconda, è che deve contenere " un sunto " di ciò che si va a raccontare. In questo caso, devo dire che la scelta è stata difficile, soprattutto per la molteplicità di storie in cui mi sono imbattuta. Proprio come un gomitolo di lana, che così come lo vedi, sembra di poca quantità e invece quando lo srotoli non riesci mai a vederne la fine.
Cerchiamo comunque di " sciogliere la matassa " e di .........venirne a capo.
 Tutto è iniziato dal mio gelsomino. Due grandi piante che si trovano fuori dalla camera da letto. Da maggio a  novembre, diventano due nuvole di stelline bianche profumatissime. 

Vengono da molto lontano, sia di tempo, che di spazio, create da una talea di un gelsomino del nonno di mio marito,  Σπύροσ. 
Lui era un commerciante di stoffe e lavorava ovviamente in Grecia. Ho sempre fantasticato sull'origine vera di queste piante e mi è sempre piaciuto immaginare che provenissero da uno scambio con altri commercianti dell'epoca, di chissà quale terra lontana. A parte i sogni, per scoprire, se non la vera identità, almeno il suo nome scientifico, ho aperto un vecchio libro " De Florum cultura " del gesuita Giovanni Battista Ferrari pubblicato a Roma nel 1633, in latino e ristampato nel 1638 in traduzione italiana con il titolo " Flora overo, cultura di fiori ".
Diviso in quattro libri, il testo voleva proporsi, come un manuale sui fiori ornamentali " di casa nostra " ed esotici, assai richiesti dalle famiglie più rinomate di Roma. 
Dunque, andando a frugare tra le sue pagine, mi imbatto in un graziosissimo racconto. Altro non vuole essere che una parodia, dove la Dea Terra, riesce a convincere gli Dei dell'Olimpo, a coltivare, come si deve, non solo gli ortaggi, ma anche i fiori. Be! da questo racconto mi è venuta l'ispirazione per il post in merito. Scusate se vi annoierò, ma è troppo bello per non poterlo raccontare.
Allora.......In un banchetto insolito, preparato dalla Dea Flora, vengono invitati gli Dei. 


Questi, posti ordinatamente a codesta " mensa d'oro ", videro davanti ai loro occhi, portare vivande insolite e misteriose. Tutto ciò, che si trovava sulla tavola, altro non era che fiori, in varie spezie preparati. Meravigliati all'inizio, si guardarono l'un l'altro, non sapendo cosa fare. Decisero quindi di digiunare, pensando che i soli sensi che dovevano essere saziati, fossero gli occhi e il naso. Flora, allora sorridendo, vedendo tutto ciò, si rivolse a loro, che con aria di ironia e di scherno la fissavano e disse " proviamo un poco se al vostro palato sono graditi i miei fiori ? ". Tolse da un piatto d'argento una rosa, la morse delicatamente e aggiunse " caspita, questa rosa è un fiore di nettare, un fiore di ambrosia, Buona cosa secondo me, essere un ape, anzi meglio di un ape io sono, perché posso sentire il gusto di questa rosa". Certo Flora che cosa poteva preparare di meglio di un banchetto agghindato con i suoi prodotti più stimati. Allora gli Dei si resero conto che forse quell'ambrosia, che erano abituati a mangiare in cielo ora si trovava anche in terra. Vennero quindi a conoscenza di un cibo reale e ognuno di loro fecero acclamazioni e gesti di consenso. Allora perché, pensarono gli Dei, se i fiori crescono così bene negli orti della terra e regalano così meravigliose pietanze, perché non darsi alla cultura dei fiori?
Giove, allora, rasserenato e pieno di gioia in viso, disse " O Terra, madre nutrice, i veri fiori, tuoi cari parti produci di qualità inferiore di questi qui contrafatti e per lo più non appetibili al gusto, non saporiti e addirittura velenosi ".
Aspettava dunque una risposta, ma visto che non arrivava, guardò a uno a uno  tutti i convitati e si accorse che la Terra non era presente al banchetto. Stupito di tale assenza disse " come , in un giorno come questo, dove si celebra il nuovo secolo dei fiori, manca proprio la madre terra? ". Rispose Flora " in realtà, è stata invitata, ma il fatto che non sia ancora giunta, mi fa pensare alla difficoltà che ella ha  di venire perché aggravata dalla sua grande mole di corpo che le genera lentezza nel camminare. Sarà mia cura, mandarle la macchina più potente di Archimede per catapultarla velocemente al vostro cospetto ". C'erano a servizio di questo idilliaco banchetto ben cento fanciulle di aspetto reale, che servivano da " ventagli ", con le loro ali. Tra queste, la più giovane, Aurilla, era un vero incanto. Rosa era il colore delle sue guance, di color d'oro i suoi capelli ed il corpo bianco come avorio, ricoperto di un lino sottile e trasparente. " Su! mia gioia, mia bella amorosa, con tutta velocità  e agilità. muovi le tue ali colorate in fretta e trova la madre Terra e qua subito conducila ". Non aveva nemmeno finito di formulare la richiesta, che già la giovane se ne era andata. Cerca che ti cerca, però della Terra nessuna traccia. Disperata era ormai di non poterla più trovare, avendola cercata per tutti gli orti più solitari e nascosti. Quando aveva perso ormai le speranze, eccola li davanti. La ritrovò in un nascosto e povero orticello. Osserva quell'anitica matrona, colorita in volto da una fresca e vigorosa vecchiaia, assai grassa e con difficoltà addirittura a stare seduta. Stava ricamando il suo manto ed era quasi al termine. Lattughe, cavoli, cipolle e agli e altri ortaggi, comparivano a mò di disegni nel suo prezioso manto. Aurilla allora convinse la Terra ad avviarsi in fretta, dove la stavano da tempo aspettando. La Terra , dunque presa da un impeto improvviso e da insolita forza, ricopertosi del suo telo, montò sul carro, che guidato da un grande leone, in un balzo arrivò a destinazione. Ora però, mentre stavano aspettando l'ospite d'onore, Flora cercò di sciogliere il nodo, che con una domanda un po' provocatoria Giove aveva espresso. " Ti sbagli, caro Giove, non servono arguzie per dissimulare la soavità dei fiori. I fiori sono puro nettare,vero miele che le api raccolgono. A ciò aggiungo lo strabiliante Bacco che come cuoco seppe apprezzare le proprietà dei fiori, opera anche delle grazie". Giove, allora prese " la palla a sbalzo "  e sollecito rispose " eh! certo che cosa poteva uscire dalle mani delle grazie, se non qualcosa di eccelso ?". Ecco arrivare la Terra al loro cospetto, ricevuta con sorrisi di scherno per la sua mole e il pomposo manto ricamato, che strascinava dietro di se. Flora la invitò cortesemente a prendere posto. " Dopo queste mie vivande fiorite", disse Flora, " come per dopo pasto, porti codesti erbaggi che hai fregiato sul tuo manto? ". A questa domanda pungente la Terra con poche parole rispose. " Questa mia veste, color del bosco e dirò anche infelice, colorata da una ignobile verdura e fregiata da vili agrumi, dovrebbe solo smuovere compassione più che burla e ilarità, non credi Flora ? ". " Io sono comunque detta madre di ogni cosa. Allora alla coltura dei fiori si dia più interesse. Si faccia bene scelta di terreno. Se si ha da fondare bene e durevolmente l'età fiorita, bisogna trovare terra soda e ben ferma, non leggera con minima polvere o terra secca e instabile. Se io meritai la produzione dei frutti, così sodi e ben accetti a voi tutti, perché non posso meritarmi anche l'onore di produrre fiori ?. Se a una matrona di così antica nobiltà, come io sono, sia inappropriata questa mia consunta veste, che mi sia lecito , o Flora da parte tua e di tutti gli Dei presenti a questa mensa, di potermi ricoprire di una più leggiadra veste ricca di fiori". Fu, il discorso fatto dalla Terra, ascoltato e profondamente apprezzato. Al termine del fiorito convito, fu declamato un decreto e per bocca di Zeffiro, trombettiere di primavera, pubblicato. Dopo il periodo del ferro sopraggiunga quello della coltura dei fiori. Ci si ripulisca dalla ruggine del secolo passato e si inizi il secolo dei fiori. Per far questo che l'arte della coltivazione dei fiori sia estesa e propagata a tutti e da ognuno ricevuta. Questo dovranno osservare i cultori dei giardini, a richiesta della grande madre Terra. Non più mescolamento di inutile sabbione e di cenere con la terra. Si usi la pura terra degli orti, che già ricca di letame e sfruttata dalla produzione degli ortaggi, risulta per i fiori graditissima. Questo così detto, fu subito scritto, perché ogni giardiniere ne prendesse conoscenza. Fu lo stesso Zeffiro, messaggero alato, ad affiggere alle porte di ogni giardino, tale decreto. 
Io, questo racconto l'ho trovato veramente delizioso, soprattutto perché mi ha dato " l'imput "  per fare come la Dea Flora; servire il mio gelsomino su un piatto di portata, anzi più precisamente su una coppa dorata. Ma le curiosità non finiscono qua. Da vari siti, vengo a scoprire la specie della mia pianta e cioè Jasminum grandiflorum. Conosciuto come gelsomino spagnolo o gelsomino di Catalogna. Ha origine asiatica e il suo luogo di nascita sembra essere la Malesia, dove in passato veniva utilizzato in antiche cerimonie. Cresciuto nelle regioni meridionali della Francia, in Calabria, Egitto, Siria, Libano, Palestina e.........nella mia casa. E' ovvio che in tutto questo girovagare, il nostro gelsomino non poteva non farsi " una capatina " in terra ellenica. Ecco che infatti jasmine grandiflorum è conosciuto in Grecia come gelsomino di Χιοσ, dove cresce selvatico.
Fin qui, tutto apparentemente normale, Schede tecniche e consigli sulla coltivazione, niente di che! A un tratto però, in mezzo a tante foto di ricerca, mi imbatto in una dove era ritratta Coco Chanel. E che c'entra " Coco " tra i gelsomini? . C'entra e come, seguitemi e lo capirete.

La mia pianta, o meglio il jasmine grandiflorum fa parte della formula segreta del famoso Cnanel N°5 . Proprio così. Sono passati ormai, più di novanta anni, da quando la grande Coco Chanel pronunciò una frase che fece parte poi del mito ovvero " Non voglio nessun olezzo di rose e mughetto, voglio un profumo elaborato". E' con questa frase che commissionò il chimico Ernest Beaux.
Voleva una essenza particolare, per rimodellare il concetto di femminilità, eliminando la falsa riga stucchevole del Romanticismo dell'epoca. Fu in questo modo, che nacque Chanel N° 5, sicuramente uno dei profumi che hanno fatto la storia. Storia arricchita anche da numerosi aneddoti, come quello di Marylin Monroe che dichiarava di andare a dormire con solo quello addosso. Ernest Beaux nacque a Mosca, da padre francese che, guarda caso lavorava a Grasse, sempre nel settore dei profumi. Incontrò Coco Chanel nel 1920. La loro unione esplose nell'incanto di Chanel N° 5. Madame Chanel infatti, volle che lui creasse un profumo senza uguali, inimitabile e misterioso. Egli le sottopose alcuni campioni, ottenuti mischiando una 20 di ingredienti, tra cui una copiosa dose di gelsomino di Grasse. Coco scelse il campione N° 5  e fu l'inizio di una nuova era. Ernest Beaux l'aveva vista lunga sulla scelta del fatidico ingrediente. Consigliava i giovani profumieri dicendo " ho potuto realizzare le mie idee, grazie ad un'atmosfera di libertà assoluta di lavoro e nella comprensione del ruolo di profumiere. Poiché per me, la profumeria è un' arte e il vero profumiere deve essere un artista....... se i nostri pensieri non sono altro che fantasie, esse trovano una possibilità di realizzazione grazie al talento del profumiere........". Certo che si trattava proprio di un grande personaggio.
Immaginate dunque, dopo questa scoperta, la mia gioia e la mia soddisfazione nel rendermi conto che vicino alla porta della mia camera da letto, avevo un albero Chanel N° 5. Ecco perché tutte le sere, la stanza è inondata da un forte profumo di gelsomino. Non poteva essere un gelsomino qualsiasi. Il suo olezzo nascondeva qualcosa di più segreto. Ed il segreto ormai era svelato. Chanel N° 5 , ottanta ingredienti nella sua ricetta, ma il più importante il gelsomino di Grasse.
Grasse, graziosa cittadina a venti minuti da Cannes in Francia, nominata a pieno titolo città dei fiori e dei profumi. Pensate che in questa città, ogni fiore viene chiamato con il suo nome, solo il gelsomino viene nominato semplicemente " fiore " perché rappresenta il fiore per eccellenza. Qua, la raccolta viene ancora fatta scrupolosamente a mano soprattutto da donne, per la loro manualità delicata.                      
Si inizia al mattino presto per evitare ai petali dei fiori, una prolungata esposizione al sole. Dura quattro mesi questa fase molto importante del raccolto, ( da luglio fino a settembre, a volte anche ottobre se il tempo è clemente) finché dura la fioritura. File interminabili di piccoli cesti accompagnano la raccolta. Appena questi sono pieni, si svuotano in altri più grandi, che colmi raggiungono in fretta la zona dove viene effettuata l'estrazione. Dalla raccolta all'estrazione, non devono passare più di 2 ore, pena la perdita del profumo. L' azienda  SOTRAFLOR della famiglia Mul a Pegomas, un paese vicino Grasse va avanti da 5 generazioni ed è il fornitore ufficiale per la Maison Chanel sia di gelsomino che di rosa centifoglia.
Cerco di immaginarmi la scena di questi immensi terreni coltivati a gelsomino. Miriadi di stelline bianche profumatissime che, come nuvole di seta cadono dalle mani di donne, per poi adagiarsi su cestini di paglia. Credo che siano immagini senza uguali. Queste donne mi affascinano, assomigliano un po' a quelle che raccoglievano i limoni nella costiera Amalfitana. Stessa grazia, stessa precisione. Tornando al nostro paese, scopro che era diffusa anche in Italia la coltivazione dei gelsomini e precisamente in Calabria, in una zona chiamata ancora la costa dei gelsomini ( o riviera dei gelsomini ) e in Sicilia, a Milazzo.



Le gelsominiane, così venivano chiamate le donne deputate alla raccolta dei gelsomini. Un lavoro sfruttante e faticoso.
 Erano donne e bambine, più ricercate per le loro piccole dita. Dai primi del Novecento si incomincia a Milazzo a coltivare il gelsomino. La coltivazione viene introdotta precisamente nel 1928 dalla stazione sperimentale per le industrie delle essenze e dei derivati degli agrumi, con sede Reggio Calabria. Da qua poi il raccolto sarebbe partito per la Francia, per diventare profumi. A questo lavoro, le donne accorrevano numerose per guadagnare qualche soldo in più, per mandare avanti la famiglia. Le condizioni di lavoro però erano estenuanti.
Si iniziava il lavoro dalle due di notte, fino all'alba. Scalze, senza cappello e grembiule, con la sola umidità che copriva la pelle. Se avevano bambini piccoli, erano costrette a portarseli dietro e a farli dormire in piccole ceste, poste tra i solchi delle piante. La stanchezza veniva mascherata dai canti delle lavoratrici e le parole di " calabrisella mia " si spandevano tra i filari dei gelsomini. Poi nell'agosto del 1946 inizia lo sciopero. Le gelsominiane di Milazzo per ben nove giorni sospendono l'attività. Chiedono condizioni di lavoro migliori e migliori retribuzioni, allora percepivano solo 25 lire per kg di gelsomini raccolti. Lo sciopero prende campo, altre figure entrano in sommossa. Le lavoratrici di vivai di arance e limoni, le portatrici d'acqua di Mazzarà S. Andrea, le cavatrici di agrumi di Barcellona, le incartatrici di Capo D'orlando, le salatrici di sarde di S.Agata, le portatrici di argilla di S. Stefano di Camastra, le raccoglitrici di olive di Nebrodi e delle Madonie, si vanno ad aggiungere alle gelsominiane. Finalmente arrivano stivali, grembiuli e capelli e la paga passa da 25 lire a 55 lire per kilogrammo raccolto. Ma il mondo sta cambiando e con esso anche le persone. Nella metà degli anni settanta, termina da noi definitamente la coltivazione dei gelsomini. Intere piantagioni vengono lasciate a se stesse. A poco a poco, il profumo soave dei fiori svanirà per sempre. Come è possibile, che uno stesso fiore possa avere destini così diversi a seconda di dove si trova? Gelsomino così dolce eppure così amaro di storie. Voglio pensare che il tempo e le circostanze possano cambiare a volte i destini delle cose e delle persone. La natura è un bene inestimabile, sta a noi cercare di recuperarla il più possibile, anche a costo di sacrifici. Niente deriva dal niente! Così, con il ricordo più delle gelsominiane che delle raccoglitrici odierne di Grasse, mi incammino con la sola luce della luna e un piccolo cestino, a raccogliere i fiori del mio gelsomino.
 Che strano, la sento anch'io l'umidità della notte sulla pelle, ma queste piccole stelle che cadono dalle mie mani, affievoliscono questa fredda sensazione. Cosa sento ora ? seta di petali che mi sfiorano le dita e mi scaldano il cuore. Così, con la mente a storie passate e con le mani che sorreggono un prezioso tesoro, mi avvicino a casa. Entro nella mia cucina , tuffo i fiori, lavati solo dall'acqua celestiale della rugiada, nel latte per fermare l'attimo.
Perché tutto il profumo di queste stelle rimanga per sempre imprigionato e non vada più via e........faccia così da ingrediente magico per il mio gelato di domani.
 In 400 ml. di latte tuffo un cestino di gelsomini.


















Prendo della  μαστίχα di Χιοσ precedentemente messa nel surgelatore per un ventina di minuti ( per poterla frantumare meglio ), la pesto nel mortaio e la getto nel latte insieme ai gelsomini. 
Essendo il gelsomino Jasmine Grandeflorum chiamato anche gelsomino di di Χιοσ, era il minimo che potevo fare. Metto il tutto a riposare sogni tranquilli, nel frigorifero, per l'intera notte.

L'indomani mattina, passo il tutto con un piccolo colino e mi dispiace di non poter farvi arrivare il profumo intenso di gelsomino che sprigiona dal latte.
Al momento di preparare il gelato, verso il latte nella gelatiera. aggiungo 400 ml di panna e 150 gr. di zucchero.
Avvio la gelatiera e........... Credo che Coco Chanel se lo avrebbe assaggiato avrebbe di nuovo comissionato il suo Ernest per riformulare il suo Chanel N° 5. Non solo Jasmine Grandiflorum come ingrediente principale, ma anche μαστίχα di Χιοσ, così, tanto per dare anche il sentore delle isole greche. Però......alla fine di questo racconto il mio pensiero più grande vuole essere rivolto alle migliaia di gelsominiane esistite. Bè! sicuramente qualcuna di loro ancora vive e può ricordare quei tempi e allora..........A voi questo dolce pensiero!!!!.


domenica 14 luglio 2013

" Dal sudore della fronte dei Ρουμελιώτες , il loro pane "

Στερεά Ελλάδα, oggi voglio parlarvi di questa zona della Grecia, ovvero della Ρούμελη.
Ρούμελη che oggi comprende Ευρυτανία, Αιτωλοακαρυαυία, Φθιώτιδα, Φωκίδα e βοιωτία, anche se nella cartina che affianco a lato, comprende anche Εύβοια e l'isola di Σκύρος.
Più che del territorio però, voglio narrarvi del suo popolo, conosciuto per caso, attraverso la via del grano. Dovete sapere, che in questo periodo, le campagne che mi stanno attorno, si sono completamente ricoperte di un manto color oro, il grano appunto.
Con il passare dei giorni, ho seguito con lo sguardo tutto l'evolversi del paesaggio, che mutava a mano a mano che il tempo trascorreva.
Ma l'osservazione non mi bastava, cercavo qualcosa di più esauriente.
La curiosità , si sà è femmina e io per non tradire la mia indole mi sono data da fare.
" Chissà che tradizioni ci sono in Grecia, per quanto riguarda il grano? ". Libri sopra libri e infine uno......il più descrittivo di tutti gli altri:  "Εδεσματολόγιον Ρούμελης"  ovvero " Parlare di cibo dei Pούμελης" di  Ναντια ε Γιαννης Σαραντοπογλος .Ha una parte molto ampia, che parla appunto del grano e quindi mi incammino verso nuovi orizzonti. Giugno e Luglio sono i mesi fondamentali per il grano. Mesi ricchi di storie, leggende e tradizioni, che sopravvivono nonostante tutto, proprio grazie alla forza e al cuore di questa gente.
Giugno del raccolto, ovvero la mietitura.  Il 24 giugno corrisponde alla festa di Αγίου Ιωάννη του βαπτιστή ( San Giovanni Battista ), da qui il nome di giugno come Αι-γιαννιτις ο Αγιογιαννιτις. La sua festa è sinonimo di due antiche usanze la Κλήδονα e i fuochi che si accendono alla vigilia della festa. Κλήδονα affonda le sue radici nell'antichità. Ai tempi di Omero rappresentava l'arte della profezia. Ai tempi odierni è una cerimonia che viene svolta per rendere nota l'identità del futuro coniuge delle ragazze " da marito ". A questa vengono aggiunte i falò che si accendono per tutta la Ρούμελη. Si gettano nel fuoco i fiori secchi ( che erano stati messi precedentemente davanti alle immagini sacre ) ovvero σταυρολούλουδα e le corone di fiori che sono state preparate il primo maggio dell'anno precedente, ovvero μαγιάτικα οτεφάνια.


Le ragazze devono saltare sette falò, in sette diversi rioni, per propiziarsi la fortuna. In ogni paese e villaggio c'è ancora la gara per chi fà il falò più grande.
Ma queste feste in realtà hanno rappresentato da sempre la cornice per un  quadro più importante, la raccolta del grano e la trebbiatura.tutto ciò
 Δ.Λουκόπουλος , uno dei più grandi folcloristi della Grecia, nel suo libro Γεωργικά της Ρούμελης ( l'agricoltura della Ρούμελης ), descrive molto bene tutto ciò.
"La casa era in fermento di , il disordine albergava ovunque, l'agricoltore preparava le falci, la sella e ogni genere di mangiare. La donna metteva nella sacca, il pane, le olive, la cipolla, la botticella per l'acqua con il mestolo per bere....... L'uomo caricava tutto sull'animale. le sacche venivano appese avanti e indietro sulla sella. Uscivano da casa e tutto l'insieme aveva un che di " processione ". In fondo il bambino più piccolo, che seguiva i fratelli più grandi. Davanti la moglie, con la sola falce in mano. Ancora prima che il sole sorgeva sulle montagne, la famiglia era nel campo. La moglie per prima afferrava la falce, seguivano poi le altre donne. Si ! perché era la donna la sola che poteva usare la falce. Occorreva che la mano fosse leggera. O Ρουμελιώτες ( l'uomo della Ρούμελη) non poteva inchinarsi, le sue mani dovevano usare attrezzi più pesanti della falce. Di buon ora quindi e armati di buona speranza si entrava dentro il campo, dove aprivano un corridoio tra il grano, fino a formare una croce sul terreno che serviva da....buon augurio. Si incominciava a tagliare il grano con la mano destra, con la sinistra si prendeva il fascio e lo si appoggiava a terra. Così per sei volte. Poi si metteva tutto sulle ginocchia, con la falce sulle spalle, per liberare le mani e si formava dei piccoli covoni.
Con il sole ormai arrivato al centro del cielo, il caldo diventava insopportabile, tanto da paralizzare le mani. Era ora di riposarsi. Lasciavano la falce, trovavano ombra da qualche parte e mangiavano i loro cibi poveri".
Povero però era solo il cibo, Il vero nutrimento era quello dell'anima, allietata da canti, sorrisi, balli e scherzi.
" Dopo la pausa si ritornava al lavoro, si formavano nuove croci sul terreno, lasciando un pezzo libero per prendere i semi per la prossima semina. Questo era ciò che si poteva osservare durante il giorno. Migliore era la notte per questa specie di lavoro. Allora c'era il .......... νυχτοθέρι.
Se c'era la luna ad illuminare il tutto era il massimo. La sua luce si diffondeva sui campi, come un faro e rendeva nitida ogni cosa, ogni gesto. Sembrava giorno, ma senza il caldo soffocante. Che appetito " mieteva " la notte. 
Il mistero che si avviluppava intorno a chi lavorava, la sensazione della rugiada sulla propria pelle, il " calore " della luna, creavano un divertimento tale da mettere le ali a chi mieteva. Tutto nei campi sembrava più facile. Si udivano , nella notte, voci di incitamento, tradotte in canti. Si, perché il lavoro, doveva essere svolto in fretta, prima che la luna scomparisse. E allora, nelle loro cantilene, si parlava di vecchie storie, vecchie usanze. Versi riportavano in vita vecchi mestieri, come le νυχτοραυε. Queste erano sarte che venivano invitate nelle case, per cucire. Ora , voi mi direte" ma perché si recavano di notte e non di giorno ? ". Me lo sono chiesto anch'io. Credo che era perché queste persone un secondo lavoro. In fondo il giorno, era il campo e la campagna. Ritornando comunque alle νυχτοραυε, queste lavoravano con l'ago senza luce, Allora non c'erano neanche le lampade nei villaggi. Si metteva del fieno per terra, con rami di cedro e si creava dei piccoli falò. Mi sembra di udirle le voci che in coro ripetevano " sbrigati che tra un po' si spegne la fiamma e non avrai più luce per lavorare “. Tutto ciò si traduceva nei canti della νυχτοθέρι e serviva da sprone a chi lavorava. Sembravano quasi schiocchi di frusta, tanto forte era l'incitamento. Ma era una frusta che colpiva come una piuma e che serviva solo per ricordare che tra un po'  la luna sarebbe sparita dal cielo e il caldo.......... Ma non sempre c'era la luna ad illuminare il tutto. Nelle notti buie allora che cosa si faceva?. Credo che sia stata una scena bellissima da vedere e anche da vivere. I campi illuminati da falò accesi, candele sparse qua e la e torce infuocate dirette su donne chine a raccogliere il grano. Credo che niente di più magico si potesse ammirare. Ora era il tempo delle σταχολόγισσες ο σταχολογίστρες , donne povere che venivano a raccogliere i resti della mietitura avvenuta. Qualche spiga lasciata qua e la sul campo, per poter racimolare un po' di farina  per sfamare la propria famiglia. Giugno passava  e lasciava a luglio  il compito di terminare il ciclo del grano. Luglio era chiamato dai contadini αλώνιστι ο αλώναρι, la trebbiatura appunto. Il grano veniva concentrato in grossi covoni e portati presso l'αλώνια. 
La' si separava la granella dei cereali dagli involucri della spiga. Ma che cosa era l' αλώνια? .


Erano dei grandi cerchi  creati nel terreno. Esistevano due tipi di αλώνια. Uno, creato solo con la terra, sulla quale veniva versato del fango mischiato al fieno. Si aspettava che questo intruglio si asciugasse per cominciare il lavoro e serviva per non fare alzare la polvere. L'altro, invece, veniva fatto con le pietre a mo di pavimento. Al centro del cerchio, sia che fosse fatto di terra , che di pietra, veniva messo un palo alto due metri. Qui, venivano legati gli animali, che facendo il giro intorno al cerchio , separavano il fieno dal grano. I  non utilizzavano mai le mucche per questo lavoro, ma solo cavalli lasciati volutamente selvaggi per diventare più forti. Durante questo girotondo di cavalli, i contadini respingevano con i forconi il grano al centro per pulirlo meglio.     
                              Ora il grano era pronto per diventare farina e dalla farina al pane il passo è breve.











Il pane sottolinea, nel maggiore dei modi, le contraddizioni della società umana. Il valore storico e culturale del pane è confermato dalla sua presenza nelle migliaia di antiche tradizioni e usanze, ancora oggi diffuse in tutta la Grecia e in tutto il mondo. L'antico testamento ne è una prova. " Dal sudore della tua fronte mangerai il tuo pane ", a sottolineare l'importanza del pane e la difficoltà del lavoro rurale. 
Ma le radici del pane, si perdono nella profondità della storia umana, tanto da precedere addirittura la scrittura, non solo dell'antico testamento. ma in senso generale. Anche se non è possibile definire esattamente l'età del pane, sembra che il primo tentativo rudimentale di coltivazione di cereali e i primi abbozzi di pane cotti su pietre roventi, risalgono a diecimila anni fà. I primi " panettieri " furono, quasi sicuramente gli egiziani, i quali non solo costruirono i forni con i soffitti a volta, ma scoprirono anche la fernentazione naturale. Furono i Greci però a portare delle importanti migliorie " alla questione pane ". Inanzitutto crearono il primo forno fuori dalle mura domestiche. Furono in grado poi, di impostare le prime regole per la professione dei fornai, spostando addirittura il loro lavoro nelle ore notturne. Ma non si fermarono solo a questo. Più di tutti gli altri paesi i Greci perfezionarono le tecniche di preparazione del pane, creando una grande variazione grazie all'aggiunta di erbe aromatiche, spezie, latte e miele. A questa ultima considerazione, voglio agganciarmi alla ricetta che oggi vi vado a proporre. 
Si tratta di due tipi di pane ( dei  Ρουμελιώτες appunto ), di cui uno con l'aggiunta nell'impasto di pomodori secchi e cipolla e l'altro di melanzane  e origano. 
Ingredienti per " Ψωμί με κρεμμύδια και λιαστές ντομάτες "ovvero "Pane con cipolla e pomodori secchi": 1 kg. di farina, 1/2 litro di acqua, 30 gr. di lievito, 10 gr. di malto, 20 gr. di sale, 50 ml. di olio, 175 gr. di farina di segale, pomodori secchi , 150 gr. di cipolla affettata. ( io ho usato farina di segale con dentro il malto ). 
Preparazione: lasciare i pomodori secchi per un ora in acqua fredda per tagliarli poi a pezzetti. 



Preparare la pasta mescolando farina, acqua, malto e lievito e impastare per 15 minuti. Poi aggiungere olio e sale e continuare a impastare  per altri 15 minuti. Infine aggiungere i pomodori e le cipolle  e lavorare la pasta per pochi minuti. Lasciare la pasta per 50 minuti in un luogo buio e caldo coperto con un telo.
Ingredienti per " Ψωμί με μελιτζάνες και ρίγανη " ovvero " Pane con melanzane e origano ": 1 kg. di farina, 40 g. di lievito, 5 gr. di malto, 1/2 litro di acqua, 20 gr. di sale, 5 gr. di origano, 300 gr. di melanzane, 50 ml. di olio. ( io nella farina di grano duro ho aggiunto un po' di segale ).
Preparazione: Lavare le melanzane, tagliarle a dadini e friggerle leggermente in olio. 
Fare la pasta con farina, acqua , lievito e malto e impastare per 20 minuti. Condire con sale e origano e olio e continuare e a impastare per altri 20 minuti. 
Quindi aggiungere le melanzane  e lavorare la pasta per pochi minuti.
 Lasciare riposare la pasta con i tempi e le modalità dell'altra ricetta.
Quando il pane si sarà lievitato, dividere l'impasto della forma voluta ( io ho diviso ogni impasto in due pagnotte ).
Cuocere in forno a 220° ( compito dell'aiuto chef ), per circa 50 minuti. All'interno del forno a legna mettere una bacinella con dell'acqua. Questo per creare la giusta umidità  all'interno  e rendere il pane più morbido.


Devo dire che dopo tutta questa storia , tremavo un po' per l'esito  della ricetta e invece...............già la sola apertura del fono ha sprigionato  un caldo odore di pane , tanto  che tutti quanti in coro abbiamo detto " Odora di pane !!!!!! ".     

Poi una volta messo a tavola, a parte l'aspetto che era già invitante, la prova " taglio della fetta ", ha confermato il buon esito. Caldo caldo rimaneva  croccante come un biscotto e aromatico all'interno. Poi con il passare del tempo è diventato soffice  e più saporito come gusto. 

 Certo che il sudore della fronte  di questa gente  però la ricompensava alla grande.
Io non so quante di queste tradizioni e storie che vi ho raccontato, sono ancora in vita, ma di una cosa sono certa. Questa gente non solo ha rispettato  e mantenuto quanto già avevano, ma lo hanno addirittura arricchito, creando e aggiungendo nuove cose. Forse, il messaggio più importante che ci è arrivato dai Ρουμελιώτες è proprio questo attaccamento alle propria radici e tradizioni. Il loro viaggio , oggi più che mai, conferma una cosa. La tradizione  è il veicolo che devi prendere ogni volta che sei alla ricerca della propria identità. Se nuove tempeste, ci affliggono e l'oscurità  si addensa sulla realtà della terra, cerchiamo di essere più aperti e maneggevoli. Non fossiliziamoci, diventando tutti uguali. Facciamo come loro. Opponiamoci agli schemi fissi e coltiviamo le nostre tradizioni e la nostra morale. I Ρουμελιώτες  dicono un cosa molto importante " che il progenitore dei Greci sia il nostro faro ". E dico io che questo faro faccia sempre da guida, da qualsiasi fonte discendiamo. Ormai si è fatta notte, davanti a me un campo di grano e una macchina mietitrebbia, che come un puntino percorre le vie del grano. Una piccola lucina spersa nel buio. Come fare con la mente a non ritornare alle antiche storie della νυχτοθέρι. 
Ripenso ai canti, alla gioia che questa gente ha vissuto. Non posso però ora non pensare a quell'uomo davanti a me, chiuso in uno stretto abitacolo, solo, magari con la compagnia del telefonino  o dell' ipod per un po' di musica, ma comunque solo e magari anche stressato da un lavoro che non ti dà altro che compenso economico. Allora mi dico, si la tecnologia ha migliorato tante cose, ma quante però ne abbiamo perse per strada? 
Lascio a voi riflettere!!!!





 Facciamo come loro, insegnamo ai nostri bambini le nostre origini.........http://digitalschool.minedu.gov.gr/modules/ebook/show.php/DSDIM-F102/416/2795,10582/