Quando si pensa a un titolo per un post, ci si indirizza sempre su due cose. La prima, è che deve stimolare l'attenzione di chi lo legge. La seconda, è che deve contenere " un sunto " di ciò che si va a raccontare. In questo caso, devo dire che la scelta è stata difficile, soprattutto per la molteplicità di storie in cui mi sono imbattuta. Proprio come un gomitolo di lana, che così come lo vedi, sembra di poca quantità e invece quando lo srotoli non riesci mai a vederne la fine.
Cerchiamo comunque di " sciogliere la matassa " e di .........venirne a capo.
Tutto è iniziato dal mio gelsomino. Due grandi piante che si trovano fuori dalla camera da letto. Da maggio a novembre, diventano due nuvole di stelline bianche profumatissime.
Vengono da molto lontano, sia di tempo, che di spazio, create da una talea di un gelsomino del nonno di mio marito, Σπύροσ.
Lui era un commerciante di stoffe e lavorava ovviamente in Grecia. Ho sempre fantasticato sull'origine vera di queste piante e mi è sempre piaciuto immaginare che provenissero da uno scambio con altri commercianti dell'epoca, di chissà quale terra lontana. A parte i sogni, per scoprire, se non la vera identità, almeno il suo nome scientifico, ho aperto un vecchio libro " De Florum cultura " del gesuita Giovanni Battista Ferrari pubblicato a Roma nel 1633, in latino e ristampato nel 1638 in traduzione italiana con il titolo " Flora overo, cultura di fiori ".
Diviso in quattro libri, il testo voleva proporsi, come un manuale sui fiori ornamentali " di casa nostra " ed esotici, assai richiesti dalle famiglie più rinomate di Roma.
Dunque, andando a frugare tra le sue pagine, mi imbatto in un graziosissimo racconto. Altro non vuole essere che una parodia, dove la Dea Terra, riesce a convincere gli Dei dell'Olimpo, a coltivare, come si deve, non solo gli ortaggi, ma anche i fiori. Be! da questo racconto mi è venuta l'ispirazione per il post in merito. Scusate se vi annoierò, ma è troppo bello per non poterlo raccontare.
Allora.......In un banchetto insolito, preparato dalla Dea Flora, vengono invitati gli Dei.
Questi, posti ordinatamente a codesta " mensa d'oro ", videro davanti ai loro occhi, portare vivande insolite e misteriose. Tutto ciò, che si trovava sulla tavola, altro non era che fiori, in varie spezie preparati. Meravigliati all'inizio, si guardarono l'un l'altro, non sapendo cosa fare. Decisero quindi di digiunare, pensando che i soli sensi che dovevano essere saziati, fossero gli occhi e il naso. Flora, allora sorridendo, vedendo tutto ciò, si rivolse a loro, che con aria di ironia e di scherno la fissavano e disse " proviamo un poco se al vostro palato sono graditi i miei fiori ? ". Tolse da un piatto d'argento una rosa, la morse delicatamente e aggiunse " caspita, questa rosa è un fiore di nettare, un fiore di ambrosia, Buona cosa secondo me, essere un ape, anzi meglio di un ape io sono, perché posso sentire il gusto di questa rosa". Certo Flora che cosa poteva preparare di meglio di un banchetto agghindato con i suoi prodotti più stimati. Allora gli Dei si resero conto che forse quell'ambrosia, che erano abituati a mangiare in cielo ora si trovava anche in terra. Vennero quindi a conoscenza di un cibo reale e ognuno di loro fecero acclamazioni e gesti di consenso. Allora perché, pensarono gli Dei, se i fiori crescono così bene negli orti della terra e regalano così meravigliose pietanze, perché non darsi alla cultura dei fiori?
Giove, allora, rasserenato e pieno di gioia in viso, disse " O Terra, madre nutrice, i veri fiori, tuoi cari parti produci di qualità inferiore di questi qui contrafatti e per lo più non appetibili al gusto, non saporiti e addirittura velenosi ".
Prendo della μαστίχα di Χιοσ precedentemente messa nel surgelatore per un ventina di minuti ( per poterla frantumare meglio ), la pesto nel mortaio e la getto nel latte insieme ai gelsomini.
Essendo il gelsomino Jasmine Grandeflorum chiamato anche gelsomino di di Χιοσ, era il minimo che potevo fare. Metto il tutto a riposare sogni tranquilli, nel frigorifero, per l'intera notte.
Cerchiamo comunque di " sciogliere la matassa " e di .........venirne a capo.
Tutto è iniziato dal mio gelsomino. Due grandi piante che si trovano fuori dalla camera da letto. Da maggio a novembre, diventano due nuvole di stelline bianche profumatissime.
Vengono da molto lontano, sia di tempo, che di spazio, create da una talea di un gelsomino del nonno di mio marito, Σπύροσ.
Lui era un commerciante di stoffe e lavorava ovviamente in Grecia. Ho sempre fantasticato sull'origine vera di queste piante e mi è sempre piaciuto immaginare che provenissero da uno scambio con altri commercianti dell'epoca, di chissà quale terra lontana. A parte i sogni, per scoprire, se non la vera identità, almeno il suo nome scientifico, ho aperto un vecchio libro " De Florum cultura " del gesuita Giovanni Battista Ferrari pubblicato a Roma nel 1633, in latino e ristampato nel 1638 in traduzione italiana con il titolo " Flora overo, cultura di fiori ".
Diviso in quattro libri, il testo voleva proporsi, come un manuale sui fiori ornamentali " di casa nostra " ed esotici, assai richiesti dalle famiglie più rinomate di Roma.
Dunque, andando a frugare tra le sue pagine, mi imbatto in un graziosissimo racconto. Altro non vuole essere che una parodia, dove la Dea Terra, riesce a convincere gli Dei dell'Olimpo, a coltivare, come si deve, non solo gli ortaggi, ma anche i fiori. Be! da questo racconto mi è venuta l'ispirazione per il post in merito. Scusate se vi annoierò, ma è troppo bello per non poterlo raccontare.
Allora.......In un banchetto insolito, preparato dalla Dea Flora, vengono invitati gli Dei.
Questi, posti ordinatamente a codesta " mensa d'oro ", videro davanti ai loro occhi, portare vivande insolite e misteriose. Tutto ciò, che si trovava sulla tavola, altro non era che fiori, in varie spezie preparati. Meravigliati all'inizio, si guardarono l'un l'altro, non sapendo cosa fare. Decisero quindi di digiunare, pensando che i soli sensi che dovevano essere saziati, fossero gli occhi e il naso. Flora, allora sorridendo, vedendo tutto ciò, si rivolse a loro, che con aria di ironia e di scherno la fissavano e disse " proviamo un poco se al vostro palato sono graditi i miei fiori ? ". Tolse da un piatto d'argento una rosa, la morse delicatamente e aggiunse " caspita, questa rosa è un fiore di nettare, un fiore di ambrosia, Buona cosa secondo me, essere un ape, anzi meglio di un ape io sono, perché posso sentire il gusto di questa rosa". Certo Flora che cosa poteva preparare di meglio di un banchetto agghindato con i suoi prodotti più stimati. Allora gli Dei si resero conto che forse quell'ambrosia, che erano abituati a mangiare in cielo ora si trovava anche in terra. Vennero quindi a conoscenza di un cibo reale e ognuno di loro fecero acclamazioni e gesti di consenso. Allora perché, pensarono gli Dei, se i fiori crescono così bene negli orti della terra e regalano così meravigliose pietanze, perché non darsi alla cultura dei fiori?
Giove, allora, rasserenato e pieno di gioia in viso, disse " O Terra, madre nutrice, i veri fiori, tuoi cari parti produci di qualità inferiore di questi qui contrafatti e per lo più non appetibili al gusto, non saporiti e addirittura velenosi ".
Aspettava dunque una risposta, ma visto che non arrivava, guardò a uno a uno tutti i convitati e si accorse che la Terra non era presente al banchetto. Stupito di tale assenza disse " come , in un giorno come questo, dove si celebra il nuovo secolo dei fiori, manca proprio la madre terra? ". Rispose Flora " in realtà, è stata invitata, ma il fatto che non sia ancora giunta, mi fa pensare alla difficoltà che ella ha di venire perché aggravata dalla sua grande mole di corpo che le genera lentezza nel camminare. Sarà mia cura, mandarle la macchina più potente di Archimede per catapultarla velocemente al vostro cospetto ". C'erano a servizio di questo idilliaco banchetto ben cento fanciulle di aspetto reale, che servivano da " ventagli ", con le loro ali. Tra queste, la più giovane, Aurilla, era un vero incanto. Rosa era il colore delle sue guance, di color d'oro i suoi capelli ed il corpo bianco come avorio, ricoperto di un lino sottile e trasparente. " Su! mia gioia, mia bella amorosa, con tutta velocità e agilità. muovi le tue ali colorate in fretta e trova la madre Terra e qua subito conducila ". Non aveva nemmeno finito di formulare la richiesta, che già la giovane se ne era andata. Cerca che ti cerca, però della Terra nessuna traccia. Disperata era ormai di non poterla più trovare, avendola cercata per tutti gli orti più solitari e nascosti. Quando aveva perso ormai le speranze, eccola li davanti. La ritrovò in un nascosto e povero orticello. Osserva quell'anitica matrona, colorita in volto da una fresca e vigorosa vecchiaia, assai grassa e con difficoltà addirittura a stare seduta. Stava ricamando il suo manto ed era quasi al termine. Lattughe, cavoli, cipolle e agli e altri ortaggi, comparivano a mò di disegni nel suo prezioso manto. Aurilla allora convinse la Terra ad avviarsi in fretta, dove la stavano da tempo aspettando. La Terra , dunque presa da un impeto improvviso e da insolita forza, ricopertosi del suo telo, montò sul carro, che guidato da un grande leone, in un balzo arrivò a destinazione. Ora però, mentre stavano aspettando l'ospite d'onore, Flora cercò di sciogliere il nodo, che con una domanda un po' provocatoria Giove aveva espresso. " Ti sbagli, caro Giove, non servono arguzie per dissimulare la soavità dei fiori. I fiori sono puro nettare,vero miele che le api raccolgono. A ciò aggiungo lo strabiliante Bacco che come cuoco seppe apprezzare le proprietà dei fiori, opera anche delle grazie". Giove, allora prese " la palla a sbalzo " e sollecito rispose " eh! certo che cosa poteva uscire dalle mani delle grazie, se non qualcosa di eccelso ?". Ecco arrivare la Terra al loro cospetto, ricevuta con sorrisi di scherno per la sua mole e il pomposo manto ricamato, che strascinava dietro di se. Flora la invitò cortesemente a prendere posto. " Dopo queste mie vivande fiorite", disse Flora, " come per dopo pasto, porti codesti erbaggi che hai fregiato sul tuo manto? ". A questa domanda pungente la Terra con poche parole rispose. " Questa mia veste, color del bosco e dirò anche infelice, colorata da una ignobile verdura e fregiata da vili agrumi, dovrebbe solo smuovere compassione più che burla e ilarità, non credi Flora ? ". " Io sono comunque detta madre di ogni cosa. Allora alla coltura dei fiori si dia più interesse. Si faccia bene scelta di terreno. Se si ha da fondare bene e durevolmente l'età fiorita, bisogna trovare terra soda e ben ferma, non leggera con minima polvere o terra secca e instabile. Se io meritai la produzione dei frutti, così sodi e ben accetti a voi tutti, perché non posso meritarmi anche l'onore di produrre fiori ?. Se a una matrona di così antica nobiltà, come io sono, sia inappropriata questa mia consunta veste, che mi sia lecito , o Flora da parte tua e di tutti gli Dei presenti a questa mensa, di potermi ricoprire di una più leggiadra veste ricca di fiori". Fu, il discorso fatto dalla Terra, ascoltato e profondamente apprezzato. Al termine del fiorito convito, fu declamato un decreto e per bocca di Zeffiro, trombettiere di primavera, pubblicato. Dopo il periodo del ferro sopraggiunga quello della coltura dei fiori. Ci si ripulisca dalla ruggine del secolo passato e si inizi il secolo dei fiori. Per far questo che l'arte della coltivazione dei fiori sia estesa e propagata a tutti e da ognuno ricevuta. Questo dovranno osservare i cultori dei giardini, a richiesta della grande madre Terra. Non più mescolamento di inutile sabbione e di cenere con la terra. Si usi la pura terra degli orti, che già ricca di letame e sfruttata dalla produzione degli ortaggi, risulta per i fiori graditissima. Questo così detto, fu subito scritto, perché ogni giardiniere ne prendesse conoscenza. Fu lo stesso Zeffiro, messaggero alato, ad affiggere alle porte di ogni giardino, tale decreto.
Io, questo racconto l'ho trovato veramente delizioso, soprattutto perché mi ha dato " l'imput " per fare come la Dea Flora; servire il mio gelsomino su un piatto di portata, anzi più precisamente su una coppa dorata. Ma le curiosità non finiscono qua. Da vari siti, vengo a scoprire la specie della mia pianta e cioè Jasminum grandiflorum. Conosciuto come gelsomino spagnolo o gelsomino di Catalogna. Ha origine asiatica e il suo luogo di nascita sembra essere la Malesia, dove in passato veniva utilizzato in antiche cerimonie. Cresciuto nelle regioni meridionali della Francia, in Calabria, Egitto, Siria, Libano, Palestina e.........nella mia casa. E' ovvio che in tutto questo girovagare, il nostro gelsomino non poteva non farsi " una capatina " in terra ellenica. Ecco che infatti jasmine grandiflorum è conosciuto in Grecia come gelsomino di Χιοσ, dove cresce selvatico.
Fin qui, tutto apparentemente normale, Schede tecniche e consigli sulla coltivazione, niente di che! A un tratto però, in mezzo a tante foto di ricerca, mi imbatto in una dove era ritratta Coco Chanel. E che c'entra " Coco " tra i gelsomini? . C'entra e come, seguitemi e lo capirete.
La mia pianta, o meglio il jasmine grandiflorum fa parte della formula segreta del famoso Cnanel N°5 . Proprio così. Sono passati ormai, più di novanta anni, da quando la grande Coco Chanel pronunciò una frase che fece parte poi del mito ovvero " Non voglio nessun olezzo di rose e mughetto, voglio un profumo elaborato". E' con questa frase che commissionò il chimico Ernest Beaux.
Voleva una essenza particolare, per rimodellare il concetto di femminilità, eliminando la falsa riga stucchevole del Romanticismo dell'epoca. Fu in questo modo, che nacque Chanel N° 5, sicuramente uno dei profumi che hanno fatto la storia. Storia arricchita anche da numerosi aneddoti, come quello di Marylin Monroe che dichiarava di andare a dormire con solo quello addosso. Ernest Beaux nacque a Mosca, da padre francese che, guarda caso lavorava a Grasse, sempre nel settore dei profumi. Incontrò Coco Chanel nel 1920. La loro unione esplose nell'incanto di Chanel N° 5. Madame Chanel infatti, volle che lui creasse un profumo senza uguali, inimitabile e misterioso. Egli le sottopose alcuni campioni, ottenuti mischiando una 20 di ingredienti, tra cui una copiosa dose di gelsomino di Grasse. Coco scelse il campione N° 5 e fu l'inizio di una nuova era. Ernest Beaux l'aveva vista lunga sulla scelta del fatidico ingrediente. Consigliava i giovani profumieri dicendo " ho potuto realizzare le mie idee, grazie ad un'atmosfera di libertà assoluta di lavoro e nella comprensione del ruolo di profumiere. Poiché per me, la profumeria è un' arte e il vero profumiere deve essere un artista....... se i nostri pensieri non sono altro che fantasie, esse trovano una possibilità di realizzazione grazie al talento del profumiere........". Certo che si trattava proprio di un grande personaggio.
Immaginate dunque, dopo questa scoperta, la mia gioia e la mia soddisfazione nel rendermi conto che vicino alla porta della mia camera da letto, avevo un albero Chanel N° 5. Ecco perché tutte le sere, la stanza è inondata da un forte profumo di gelsomino. Non poteva essere un gelsomino qualsiasi. Il suo olezzo nascondeva qualcosa di più segreto. Ed il segreto ormai era svelato. Chanel N° 5 , ottanta ingredienti nella sua ricetta, ma il più importante il gelsomino di Grasse.
Grasse, graziosa cittadina a venti minuti da Cannes in Francia, nominata a pieno titolo città dei fiori e dei profumi. Pensate che in questa città, ogni fiore viene chiamato con il suo nome, solo il gelsomino viene nominato semplicemente " fiore " perché rappresenta il fiore per eccellenza. Qua, la raccolta viene ancora fatta scrupolosamente a mano soprattutto da donne, per la loro manualità delicata.
Si inizia al mattino presto per evitare ai petali dei fiori, una prolungata esposizione al sole. Dura quattro mesi questa fase molto importante del raccolto, ( da luglio fino a settembre, a volte anche ottobre se il tempo è clemente) finché dura la fioritura. File interminabili di piccoli cesti accompagnano la raccolta. Appena questi sono pieni, si svuotano in altri più grandi, che colmi raggiungono in fretta la zona dove viene effettuata l'estrazione. Dalla raccolta all'estrazione, non devono passare più di 2 ore, pena la perdita del profumo. L' azienda SOTRAFLOR della famiglia Mul a Pegomas, un paese vicino Grasse va avanti da 5 generazioni ed è il fornitore ufficiale per la Maison Chanel sia di gelsomino che di rosa centifoglia.
Cerco di immaginarmi la scena di questi immensi terreni coltivati a gelsomino. Miriadi di stelline bianche profumatissime che, come nuvole di seta cadono dalle mani di donne, per poi adagiarsi su cestini di paglia. Credo che siano immagini senza uguali. Queste donne mi affascinano, assomigliano un po' a quelle che raccoglievano i limoni nella costiera Amalfitana. Stessa grazia, stessa precisione. Tornando al nostro paese, scopro che era diffusa anche in Italia la coltivazione dei gelsomini e precisamente in Calabria, in una zona chiamata ancora la costa dei gelsomini ( o riviera dei gelsomini ) e in Sicilia, a Milazzo.
Le gelsominiane, così venivano chiamate le donne deputate alla raccolta dei gelsomini. Un lavoro sfruttante e faticoso.
Erano donne e bambine, più ricercate per le loro piccole dita. Dai primi del Novecento si incomincia a Milazzo a coltivare il gelsomino. La coltivazione viene introdotta precisamente nel 1928 dalla stazione sperimentale per le industrie delle essenze e dei derivati degli agrumi, con sede Reggio Calabria. Da qua poi il raccolto sarebbe partito per la Francia, per diventare profumi. A questo lavoro, le donne accorrevano numerose per guadagnare qualche soldo in più, per mandare avanti la famiglia. Le condizioni di lavoro però erano estenuanti.
Si iniziava il lavoro dalle due di notte, fino all'alba. Scalze, senza cappello e grembiule, con la sola umidità che copriva la pelle. Se avevano bambini piccoli, erano costrette a portarseli dietro e a farli dormire in piccole ceste, poste tra i solchi delle piante. La stanchezza veniva mascherata dai canti delle lavoratrici e le parole di " calabrisella mia " si spandevano tra i filari dei gelsomini. Poi nell'agosto del 1946 inizia lo sciopero. Le gelsominiane di Milazzo per ben nove giorni sospendono l'attività. Chiedono condizioni di lavoro migliori e migliori retribuzioni, allora percepivano solo 25 lire per kg di gelsomini raccolti. Lo sciopero prende campo, altre figure entrano in sommossa. Le lavoratrici di vivai di arance e limoni, le portatrici d'acqua di Mazzarà S. Andrea, le cavatrici di agrumi di Barcellona, le incartatrici di Capo D'orlando, le salatrici di sarde di S.Agata, le portatrici di argilla di S. Stefano di Camastra, le raccoglitrici di olive di Nebrodi e delle Madonie, si vanno ad aggiungere alle gelsominiane. Finalmente arrivano stivali, grembiuli e capelli e la paga passa da 25 lire a 55 lire per kilogrammo raccolto. Ma il mondo sta cambiando e con esso anche le persone. Nella metà degli anni settanta, termina da noi definitamente la coltivazione dei gelsomini. Intere piantagioni vengono lasciate a se stesse. A poco a poco, il profumo soave dei fiori svanirà per sempre. Come è possibile, che uno stesso fiore possa avere destini così diversi a seconda di dove si trova? Gelsomino così dolce eppure così amaro di storie. Voglio pensare che il tempo e le circostanze possano cambiare a volte i destini delle cose e delle persone. La natura è un bene inestimabile, sta a noi cercare di recuperarla il più possibile, anche a costo di sacrifici. Niente deriva dal niente! Così, con il ricordo più delle gelsominiane che delle raccoglitrici odierne di Grasse, mi incammino con la sola luce della luna e un piccolo cestino, a raccogliere i fiori del mio gelsomino.
Che strano, la sento anch'io l'umidità della notte sulla pelle, ma queste piccole stelle che cadono dalle mie mani, affievoliscono questa fredda sensazione. Cosa sento ora ? seta di petali che mi sfiorano le dita e mi scaldano il cuore. Così, con la mente a storie passate e con le mani che sorreggono un prezioso tesoro, mi avvicino a casa. Entro nella mia cucina , tuffo i fiori, lavati solo dall'acqua celestiale della rugiada, nel latte per fermare l'attimo.
Perché tutto il profumo di queste stelle rimanga per sempre imprigionato e non vada più via e........faccia così da ingrediente magico per il mio gelato di domani.
In 400 ml. di latte tuffo un cestino di gelsomini.
Erano donne e bambine, più ricercate per le loro piccole dita. Dai primi del Novecento si incomincia a Milazzo a coltivare il gelsomino. La coltivazione viene introdotta precisamente nel 1928 dalla stazione sperimentale per le industrie delle essenze e dei derivati degli agrumi, con sede Reggio Calabria. Da qua poi il raccolto sarebbe partito per la Francia, per diventare profumi. A questo lavoro, le donne accorrevano numerose per guadagnare qualche soldo in più, per mandare avanti la famiglia. Le condizioni di lavoro però erano estenuanti.
Si iniziava il lavoro dalle due di notte, fino all'alba. Scalze, senza cappello e grembiule, con la sola umidità che copriva la pelle. Se avevano bambini piccoli, erano costrette a portarseli dietro e a farli dormire in piccole ceste, poste tra i solchi delle piante. La stanchezza veniva mascherata dai canti delle lavoratrici e le parole di " calabrisella mia " si spandevano tra i filari dei gelsomini. Poi nell'agosto del 1946 inizia lo sciopero. Le gelsominiane di Milazzo per ben nove giorni sospendono l'attività. Chiedono condizioni di lavoro migliori e migliori retribuzioni, allora percepivano solo 25 lire per kg di gelsomini raccolti. Lo sciopero prende campo, altre figure entrano in sommossa. Le lavoratrici di vivai di arance e limoni, le portatrici d'acqua di Mazzarà S. Andrea, le cavatrici di agrumi di Barcellona, le incartatrici di Capo D'orlando, le salatrici di sarde di S.Agata, le portatrici di argilla di S. Stefano di Camastra, le raccoglitrici di olive di Nebrodi e delle Madonie, si vanno ad aggiungere alle gelsominiane. Finalmente arrivano stivali, grembiuli e capelli e la paga passa da 25 lire a 55 lire per kilogrammo raccolto. Ma il mondo sta cambiando e con esso anche le persone. Nella metà degli anni settanta, termina da noi definitamente la coltivazione dei gelsomini. Intere piantagioni vengono lasciate a se stesse. A poco a poco, il profumo soave dei fiori svanirà per sempre. Come è possibile, che uno stesso fiore possa avere destini così diversi a seconda di dove si trova? Gelsomino così dolce eppure così amaro di storie. Voglio pensare che il tempo e le circostanze possano cambiare a volte i destini delle cose e delle persone. La natura è un bene inestimabile, sta a noi cercare di recuperarla il più possibile, anche a costo di sacrifici. Niente deriva dal niente! Così, con il ricordo più delle gelsominiane che delle raccoglitrici odierne di Grasse, mi incammino con la sola luce della luna e un piccolo cestino, a raccogliere i fiori del mio gelsomino.
Che strano, la sento anch'io l'umidità della notte sulla pelle, ma queste piccole stelle che cadono dalle mie mani, affievoliscono questa fredda sensazione. Cosa sento ora ? seta di petali che mi sfiorano le dita e mi scaldano il cuore. Così, con la mente a storie passate e con le mani che sorreggono un prezioso tesoro, mi avvicino a casa. Entro nella mia cucina , tuffo i fiori, lavati solo dall'acqua celestiale della rugiada, nel latte per fermare l'attimo.
Perché tutto il profumo di queste stelle rimanga per sempre imprigionato e non vada più via e........faccia così da ingrediente magico per il mio gelato di domani.
In 400 ml. di latte tuffo un cestino di gelsomini.
Prendo della μαστίχα di Χιοσ precedentemente messa nel surgelatore per un ventina di minuti ( per poterla frantumare meglio ), la pesto nel mortaio e la getto nel latte insieme ai gelsomini.
Essendo il gelsomino Jasmine Grandeflorum chiamato anche gelsomino di di Χιοσ, era il minimo che potevo fare. Metto il tutto a riposare sogni tranquilli, nel frigorifero, per l'intera notte.
L'indomani mattina, passo il tutto con un piccolo colino e mi dispiace di non poter farvi arrivare il profumo intenso di gelsomino che sprigiona dal latte.
Al momento di preparare il gelato, verso il latte nella gelatiera. aggiungo 400 ml di panna e 150 gr. di zucchero.
Avvio la gelatiera e........... Credo che Coco Chanel se lo avrebbe assaggiato avrebbe di nuovo comissionato il suo Ernest per riformulare il suo Chanel N° 5. Non solo Jasmine Grandiflorum come ingrediente principale, ma anche μαστίχα di Χιοσ, così, tanto per dare anche il sentore delle isole greche. Però......alla fine di questo racconto il mio pensiero più grande vuole essere rivolto alle migliaia di gelsominiane esistite. Bè! sicuramente qualcuna di loro ancora vive e può ricordare quei tempi e allora..........A voi questo dolce pensiero!!!!.
i tuoi post sono sempre così ricchi ed interessanti, mi incanto a leggerli, buon weekend!
RispondiEliminaCara Chiara sono felice che ti piaccia il mio blog e che apprezzi ciò che scrivo..Un abbraccio a presto.
EliminaQuesto post cara Annamaria è proprio come un caldo e colorato gomitolo di lana ma uno più va avanti con la lettura e più si augura che non finisca mai...
RispondiEliminaMi sembra persino di odorarne i petali di questo stupendo gioiello tra l'umidità della notte e il canto delle cicale..Mi fermo spesso ad annusare i fiori in giardino e mi rendono serena, come se il loro profumo fosse un potente rilassante e mi chiedo se fossi nata gelsominiana? Avrebbe avuto lo stesso effetto su di me e sulle enormi fatiche che sicuramente avrei dovuto subire? Mi piace pensare di sì! E che per molte lo sia stato, non solo sacrificio ma anche un piacevole toccasana lavorare in mezzo al quel profumo stupendo. Il sapore di quel fantastico gelato poi? Bravissima..Un abbraccio e buon fine settimana
Cara Ornella hai centrato a pieno il significato del mio post.
RispondiEliminaÈ stata una suggestione a pieno titolo ritrovarsi nella notte con la sola luna a raccogliere in un piccolo cestino una nuvola profumata. Proprio come le gelsominiane mi sono sentita e proprio con il pensiero rivolte a loro ho capito che cosa era la vita ai quei tempi. Anche noi viviamo tempi difficili, ma se avessimo spiriti diversi, come allora sicuramente si affronterebbe tutto in altra maniera......con più serenità . Buon fine settimana anche a te. Un grosso bacio.